Protesi all’anca: un veloce pit stop.

La protesi all’anca è uno degli interventi più frequenti in ortopedia. Vediamo di capirne il motivo.

L’anca riveste un ruolo fondamentale nell’atto del camminare e del mantenimento della nostra postura. È un’articolazione sottoposta a continue sollecitazioni sia nell’atto del muovere le gambe che in quello di stare fermi in posizione eretta. Quando sopraggiungono situazioni che vanno a modificare il corretto funzionamento del movimento dell’anca cambia il nostro modo di comportarci e quando in particolare la situazione di difficoltà aumenta fino a procurare dolore, tale dolore ci spinge a chiedere l’intervento del medico.

 

Quali sono le cause principali di malfunzionamento dell’articolazione che portano a considerare una protesi?

Possiamo descriverne principalmente quattro:

  • l’artrosi primaria (una predisposizione genetica nella degenerazione delle articolazioni di tutto il corpo)
  • l’artrosi in conseguenza a traumi/incidenti (ad esempio causata da una caduta o da un incidente stradale)
  • la displasia dell’anca (una predisposizione genetica allo sviluppo anomalo dell’articolazione dell’anca)
  • la necrosi della testa del femore (una particolare condizione di mancato afflusso di sangue nel tessuto osseo, che ne causa la morte; quando colpisce la testa del femore, viene compromessa tutta l’articolazione dell’anca).

 

I pazienti con necrosi della testa del femore spesso lamentano un dolore al carico e alla deambulazione all’inguine e tendono a mantenere una posizione ‘obbligata’ dell’arto (flesso ed extraruotato).

Una nota: la coxalgia (il dolore all’anca) può talvolta provenire da altre sedi, come ad esempio dai dolori addominali causati dall’endometriosi oppure da dolori delle sacro iliache.

 

Quando il paziente lamenta un dolore inguinale che persiste anche dopo l’assunzione di antidolorifici e dopo il trattamento tramite fisioterapia o infiltrazioni, quando ha difficoltà a infilarsi le calze e le scarpe, quando ha difficoltà ad accavallare le gambe, insomma quando il paziente giunge ad una situazione di difficoltà e di dolore nella conduzione della propria giornata, si propone l’intervento di protesi all’anca.

 

Il primo esame da fare quando si sospetta una problematica all’anca è la radiografia standard del bacino e dell’anca. Poi, da fare solo quando si sospetta la necrosi della testa del femore, è utile esaminare ulteriormente la zona con una risonanza magnetica.

Una volta posta la diagnosi clinica e radiografica, la soluzione all’artrosi dell’anca è il trattamento protesico.

 

La protesi di anca consiste nel sostituire la testa del femore e la coppa del bacino con una nuova “sfera” e una nuova “coppa”.

Ogni paziente potrà giovarsi di una tipologia di protesi diversa a seconda dell’età e del tipo di attività lavorativa e sportiva che pratica. Ad esempio, pazienti che hanno bisogno di ampio movimento e che eseguono attività prettamente traumatiche possono giovarsi di protesi con teste grandi e con caratteristiche elastiche adeguate.

 

Negli ultimi anni la grande differenza nel rapido recupero della deambulazione dopo l’intervento protesico è stata data dall’accesso chirurgico durante l’operazione.

L’ accesso chirurgico mini-invasivo, anche se è corretto pensare e associare visivamente tale tecnica a un’incisione chirurgica di dimensioni minori rispetto alle tecniche del passato, consente una maggiore salvaguarda dei muscoli.

L’accesso anteriore che pratico di routine mi permette di posizionare una protesi passando attraverso i piani muscolari, non danneggiandoli. Anche le perdite ematiche sono molto limitate e la trasfusione di sangue è rara: un altro vantaggio.

I pazienti possono rimettersi in piedi il giorno dopo l’intervento e iniziare a camminare in modo assistito. Con tale approccio e una corretta riabilitazione si è in grado di abbandonare le stampelle già alla terza settimana.

Un ulteriore evoluzione di questa tecnica mini-invasiva è l’approccio chirurgico cutaneo “bikini”, che si differenzia dalla tecnica standard nell’incisione cutanea e consente di far scomparire nella piega inguinale la cicatrice, una volta guarita. Tale approccio non è applicabile ad ogni paziente, in quanto vanno valutati peso corporeo e condizioni della cute.

 

Recentemente ho associato l’accesso mini-invasivo alla robotica.

La robotica permette di posizionare la protesi in modo da ridurre le variabili che solitamente si incontrano nel posizionamento di una protesi dell’anca.

Tale tecnica è da riservarsi in paziente selezionati.

Dopo l’intervento di protesi di anca i pazienti devono vere alcune accortezze tipo evitare di ruotare sull’arto operato e utilizzare delle sedute rialzate per il water e per il bidet per i primi 3 mesi.

 

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